#Come spiegare il successo dell’ultimo Joker (Attenzione SPOILER)


Se la creatività è l’intelligenza che si diverte, forse la follia è l’intelligenza che si ribella e chiede aiuto.
L’empatica giustifica della pazzia del protagonista, Arthur Flek, interpretato magistralmente da  Joaquim Phoenix, schiaccia lo spettatore sulla poltrona per tutto il film, durante il quale si susseguono più di una denuncia. Si passa, infatti, a riflettere dalla stigmatizzazione delle malattie mentali, dal libero uso delle armi, dalla disparità economica tra le classi sociali alla constatazione che nella società odierna non ci sia spazio per le difficoltà relazionali e la malinconia. Ci si impone di vestire i panni dei vincenti, di sorridere per allontanare chi potrebbe nuocerci, di infondere tutta la nostra rabbia nelle nostre azioni ove mai le evidenze dovessero dimostrare le nostre fragilità. Si pretende senza alcun vincolo di equità che le persone affette da malattie mentali si comportino in maniera convenzionale.  Come dichiarato dal regista, Todd Phillips, la pellicola è un film d’autore travestito da cinecomics. Questa dicotomia segna immancabilmente anche il protagonista dalla risata dolorosa, lacerante per lo spettatore che lo compatisce e lo teme nello stesso tempo: uno dei nemici giurati di Batman diviene un protagonista dai tratti psicologici alterati dai tranelli delle relazioni sociali. Chi guarda il film è coinvolto, è costretto continuamente a domandarsi cosa ne sarebbe di lui se subisse il disprezzo per il suo aspetto macilento, se lo giudicassero perché vive in un quartiere fatiscente, se all’improvviso scoprisse di essere stato adottato da una donna nevrotica, di aver subito delle violenze da bambino. Il regista sottolinea fortemente lo scarto tra il mondo reale e quello di Arthur, che pur folle sogna di essere un comico e di amare, mentre per gli altri è solo un collega scomodo di cui liberarsi, un personaggio ridicolo su cui lucrare, uno dei tanti a cui si elemosina l’aiuto del servizio sociale. E così tra crisi di abbandono e carenza di farmaci, il protagonista matura pian piano una strana autocoscienza: non può che desiderare l’assenza di chi gli provoca dolore e che sottolinea la sua inettitudine. Mentre il regista prepara la catarsi si susseguono le vendette di Joker, finché si assiste ad un finale ambiguo. Arthur finisce in un ospedale criminale dove rincontra la sua vecchia terapeuta, ma il frame successivo lo ritrae mentre cammina in un corridoio ospedaliero lasciando delle impronte rosse. Si tratta della metafora degli errori per i quali sconterà la sua pena, vittima della vita che lo ha emarginato dopo averlo reso colpevole dei suoi atti criminali o le sue scarpe sono sporche del sangue dell’unica persona che da terapeuta lo aveva aiutato? Non credo che sia una pellicola pericolosa, nonostante le nostre debolezze saremo sempre responsabili delle nostre azioni e se il regista aveva in mente una catarsi, la scena finale dipinge Arthur come un aggressore senza logica, proprio perché non esiste logica nella follia. 

Commenti

  1. Forse sono l'unica persona al mondo a non aver visto questo film! 🙈 -Emilia-

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  2. Il polverone che ha sollevato è immenso, a volte bisogna avere il tempo che alcune cose si sedimentino, siano dimenticate per essere riscoperte con più libertà.

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