#Pensieri: La passione di Artemisia-Susan Vreeland
Libri Neri Pozza, I narratori delle tavole, 2009, pp.318
Susan Vreeland non si è accontentata di distinguere Artemisia Gentileschi in quanto la prima donna ad essere accettata all'Accademia delle Arti del disegno di Firenze, né di designarla come una delle migliori pittrici del '600, esponente del caravaggismo romano.
In una versione romanzata della biografia di
Artemisia, la sua avventura di pittrice si interseca ed è, anzi, inscindibile
dalla sua natura di donna sui generis per l’epoca. Questo fa di Artemisia -il
cui nome è già parlante da un punto di vista fonetico- uno dei personaggi più
amati del nostro tempo.
La sua forte personalità può essere colta
facilmente dai pensieri della protagonista, che l’autrice mette a punto perché il
lettore l’avverta complice: «Ricordai la mia delusione quando papà mi aveva
fatto vedere la Giuditta di Caravaggio. Mentre segava il collo dell'uomo, era
completamente passiva. Caravaggio aveva concentrato tutta l'emozione sull'uomo.
Evidentemente, non riusciva ad immaginare che una donna fosse in grado di
pensare. Io invece volevo dipingere i suoi pensieri, se una cosa del genere era
possibile: la determinazione, la concentrazione e la fede nell'assoluta
necessità di quel gesto. Il destino del suo popolo era tutto nelle sue mani.
Non il piacere di compierlo, solo la necessità di doverlo fare».
La violenza sessuale inflitta ad Artemisia da
un pittore, Agostino Tassi, la costrinse ad un balzo nel suo percorso di
crescita, ma non lacerò irrimediabilmente il suo desiderio di vita, tanto che
ella raccontò il suo dolore a tutti. Lo gridò nei suoi dipinti, lasciando che sgorgasse dalla sua persona, interiormente incurante delle
critiche e dei comportamenti stereotipati della "gente".
L’accaduto fu divulgato solo perché Tassi era stato accusato del furto di un
quadro, frutto del genio di suo padre, anche lui pittore.
Durante il processo in cui il Tassi fu
imputato, la deposizione di Artemisia fu snobbata e derisa e la sua
intimità fu scrutata in cerca di prove per accusarla di comportamenti immorali,
piuttosto che inchiodare il suo stupratore.
La torturante
umiliazione si unì alla sofferenza fisica: avrebbe dovuto ripetere la
sua testimonianza con le mani intrappolate tra delle corde, le quali le avrebbero
stretto le dita fino a farle sanguinare, in modo che, se quella fosse stata la
verità, Dio (che maledetta strumentalizzazione di Dio!) le avrebbe dato la
forza di non ritrattare.
L’indignazione del lettore, riguardo al
silenzio di suo padre alla decisione del tribunale di estorcerle in qualche
modo una visione distorta dei fatti, è finemente istigata dall’autrice tramite
la preoccupazione della protagonista di non poter più trovare un
elemento di espressione nemmeno nella pittura: «Mi aveva fatto desiderare di
essere una pittrice, mi aveva fatto tracciare i disegni nella sua grande
Iconologia rilegata di cuoio, mi aveva insegnato come tenere in mano un
pennello a cinque anni, come pestare i pigmenti e mescolare i colori quando ne avevo
dieci. Mi aveva dato il mio pastello personale e una mia lastra di marmo. Mi
aveva dato la vita. E se non avessi più potuto dipingere con queste mani?».
L’indignazione diviene impotenza alla notizia della
soffocante delusione di Artemisia in merito all’esito del processo: «Bandito. Era
ridicolo. Gratuito. Ad Agostino bastava che il cardinal Borghese dichiarasse
che il suo soffitto non era terminato. Agostino poteva trovare un rifugio
sicuro nella residenza del cardinale. In questa città dominata dal Papa, il
bando non aveva alcun significato. Tutta questa umiliazione per nulla». «Una
piccola vendetta, messa a tacere dal baccano del perdono. Agli occhi della
gente ero ancora una donna con l'onore macchiato. Che avevo creduto? Che mi
sarebbe stato possibile uscire da lì pura come la Madonna?[...] Che poteva fare
l'unica pietra contro l'universo intero?»
La vita non sorrise nemmeno in seguito ad Artemisia, quando convisse con
il padre di sua figlia Palmira, troppo geloso del suo talento. Dopo alcuni
soggiorni in altre città, la donna si ritroverà a vivere con il padre, forse la
figura meno dannosa di tutti quelli che l’avevano osteggiata, il quale si era
preoccupato di lei soltanto materialmente, tradendola per la sua pittura. Egli
forse testimonia più di tutti gli altri personaggi oltre ad una irrefrenabile
meschinità anche il radicato maschilismo nell’ immaginario dell’epoca e
l’incapacità di sopperirvi con un’altra soluzione.
Mi hai fatto venir voglia di leggerlo *-*
RispondiEliminaGrazie😘
EliminaVorrei leggere di più su questa, donna
RispondiEliminaQuesto libro mi incuriosisce veramente tanto, lo metto in wishlist! -Emi-
RispondiEliminaMolto interessante, grazie per averne parlato❤️
RispondiEliminaInteressante. Mi è piaciuta molto la tua presentazione
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